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Contributi di studentesse del Liceo delle Scienze Umane di Tirano

La cura della memoria – e della memoria delle donne, in particolare – è un compito che l’Associazione Argonaute si è data per statuto ed è per ciascuno un testimone prezioso da passare alle nuove generazioni, perché ciò che è stato non vada perduto, perché la cultura delle donne sia un patrimonio riconosciuto, valorizzato e condiviso e che trova il suo senso non solo staticamente nel passato, ma anche dinamicamente, nel suo rinnovarsi ogni volta che la si racconta e la si documenta con competenza e con passione.

Da anni, la nostra socia Lorena Pini, docente di Scienze Umane presso l’Istituto “Balilla Pinchetti” di Tirano, propone alle proprie classi la visione dei documentari realizzati dall’Associazione e questi momenti di riflessione vengono molto apprezzati dalle studentesse e dagli studenti liceali, che hanno così la possibilità di comprendere meglio le trasformazioni che hanno coinvolto nel tempo il proprio territorio e di effettuare un percorso di conoscenza, di consapevolezza, di riappropriazione della propria identità.

Presentiamo qui le relazioni stese durante il corrente anno scolastico 2021/22 da due studentesse di classe Quarta, relative ai due DVD era tutto buono allora. Cibi semplici di una valle alpina e Ero una Veltlinerin. Storie di donne migranti in Svizzera.

RELAZIONE SULLE DONNE DI MONTAGNA – Capitani Chiara

In classe abbiamo visto due documentari sulla vita delle donne di montagna, appartenenti ad una serie di cinque filmati realizzati da Argonaute, un’associazione nata nel 2004, fondata da un gruppo di donne della Provincia di Sondrio. Lo scopo di Argonaute è promuovere la partecipazione femminile alla società, la realizzazione professionale e personale e lo sviluppo della cultura di tutte le donne; per realizzare ciò l’associazione si propone di sostenere le donne nel loro percorso di affermazione, autonomia e autostima. Tra gli obiettivi di Argonaute è presente anche la promozione e la tutela dei saperi, anche antichi, di qualsiasi tipo, al fine di rendere possibile il mantenimento di una cultura di genere. Questi obiettivi sono sicuramente incarnati dai filmati che l’associazione ha realizzato, al fine di raccontare, tramite delle interviste a diverse signore, ormai anziane, la vita delle donne di montagna. Come emerge dall’introduzione scritta da Argonaute negli opuscoli che accompagnano i filmati, l’indagine condotta non è strettamente di tipo sociologico, antropologico o statistico; lo scopo di questi documentari è innanzitutto quello di salvare testimonianze che, senza questo tipo di lavoro, sarebbero andate perdute e non avrebbero potuto contribuire a sviluppare, tramandare e tutelare la memoria di genere. Argonaute svolge quindi un’indagine di tipo qualitativo, la quale conserva anche un valore etnografico, di descrizione di un popolo. Il primo documentario, “Era tutto buono allora”, racchiude le pratiche culinarie e gastronomiche dei territori della Valtellina e della Valchiavenna, la ritualità della consumazione del cibo e l’eredità di questi riti e pratiche gastronomiche di madri in figlie. Le testimonianze raccolte offrono una documentazione etnografica, permettendo di conoscere e mantenere vivo il ricordo delle pratiche culinarie che hanno caratterizzato i territori alpini, dove la gastronomia era basata sui prodotti ottenuti dalla coltivazioni di piccoli orti, dalla raccolta di frutti e erbe spontanee, dai campi di segale, orzo, patate e dai prodotti della pastorizia: in questo mondo la cucina era povera e le protagoniste erano le donne. Esse erano le detentrici dei saperi culinari, ad esempio conoscevano a fondo le erbe spontanee e i loro possibili utilizzi in cucina oppure in ricette terapeutiche; dalle testimonianze che ho potuto ascoltare e vedere ho imparato, ad esempio, che tutte le erbette aromatiche spontanee, come il finocchietto, venivano utilizzate per preparare gli impasti di pani e focacce, mentre erbe come la melissa venivano usate per preparare infusi e medicinali naturali che potevano curare vari disturbi del corpo. Ma il ruolo della donna nella filiera alimentare non si limitava alla preparazione del cibo, bensì andava oltre; esse erano cuoche, ma anche raccoglitrici, cacciatrici, pescatrici e allevatrici. Il documentario è stato molto interessante, in quanto mi ha fatto scoprire aspetti nuovi riguardo al modo di cucinare di un tempo lontano da me. Alcune informazioni le conoscevo già, altre erano del tutto nuove, ad esempio sono rimasta colpita dal racconto di una delle intervistate, che raccontava la preparazione di una varietà di frittelle, realizzate con l’aggiunta del sangue di gallina. Questa ricetta mi è parsa molto strana, e riflettendoci ho capito che, se avessi visto questo documentario anche solo pochi anni fa, mi sarei limitata a pensare che ricette come queste fossero insolite, invece ora, grazie alle conoscenze che con il tempo sto acquisendo, mi sono soffermata a pensare al perché mi sembrassero tali. La risposta a tale domanda trovo risieda nel fatto che il mondo di oggi è molto più complesso e ricco rispetto al mondo descritto da questi documentari. Oggi c’è la possibilità di scegliere tra diversi cibi, e abbiamo il privilegio di poter dire se una cosa ci piace o meno, possibilità che non esisteva ai tempi delle signore intervistate. Tutti dovevano accontentarsi e nulla andava sprecato, perché “era tutto buono allora”. Il secondo documentario che abbiamo visto si intitola “Ero una veltlinerin: storie di donne migranti in Svizzera”. Anche in questo elaborato Argonaute conduce un’indagine qualitativa, intervistando undici donne, nate tra gli anni Venti e Trenta del secolo scorso. Le protagoniste raccontano la loro esperienza di migrazione negli anni successivi alla Seconda Guerra Mondiale, spinte dalla necessità di dover aiutare la propria famiglia colpita da una grave crisi economica, ma anche dal loro desiderio di indipendenza e riscatto sociale. Dall’analisi condotta da Patrizia Audenino, Docente dell’Università di Milano del Dipartimento di studi storici, risulta che la Lombardia è da sempre stata terra di emigrazione, la quale ha però sempre visto gli uomini come protagonisti, ma a partire dal 1945 il fenomeno migratorio si è esteso anche al mondo femminile. Queste donne, allora ragazze, partivano alla volta della Svizzera, in particolare del Canton Grigioni, terra abbastanza vicina a casa, per cercare lavoro. Il territorio svizzero era molto diverso per cultura e lingua da quello italiano, e queste giovani donne migranti non sempre trovarono una dignitosa accoglienza, ma nonostante ciò, esse erano ricercate nelle fabbriche, negli alberghi o nelle ville private svizzere, poiché godevano di una buona fama quanto a serietà e dedizione sul lavoro, ma soprattutto perché la loro manodopera veniva pagata a basso costo. Spesso queste ragazze dovevano convivere con pregiudizi negativi sugli italiani, che determinavano un comportamento non dignitoso nei loro confronti da parte dei datori di lavoro svizzeri. Principalmente questa ostilità era dovuta alla loro non conoscenza della lingua tedesca; una signora ha ad esempio raccontato di essersi sentita dire dal suo datore di lavoro: “Se non si conosce la lingua si rimane a casa propria”, e mi è parso di sentire da questo suo ricordo ancora il dispiacere e l’umiliazione di queste parole ricevute ormai tanti anni fa; altre protagoniste, invece, raccontano di essersi ingegnate e aver trovato delle strategie per acquisire i fondamenti del tedesco. Una di loro, a tal proposito, ha raccontato di come, indicando un oggetto chiedeva ai bambini che vivevano nella villa dove lavorava “Was ist das?”, in modo da poter scrivere i vocaboli su dei bigliettini, che teneva con sé fino a quando non li aveva imparati. Tra i documentari visti ho preferito questo, perché dai racconti ho potuto percepire il dolore e le preoccupazioni di giovani donne di anni fa, che partirono per la prima volta da sole, ma anche il coraggio di intraprendere questa esperienza lontane dalle famiglie. Oggi sento molti miei coetanei dire che, se potessero, partirebbero volentieri, invece per me sarebbe difficile. Non conosco molto al di fuori della piccola realtà a cui sono da sempre stata abituata, e così deve essere stato per le protagoniste di queste storie, però a differenza loro io, anche se lontana da casa, avrei i mezzi per rimanere in contatto con la mia famiglia, invece le signore protagoniste non avevano questa possibilità, e per loro deve essere stato ancora più difficile stare lontane dai propri cari senza sentirli spesso. Nonostante siano passati più di settanta anni, ho trovato questi racconti ancora vivi e autentici e mi è piaciuto come le protagoniste, oltre alle difficoltà affrontate, abbiano ricordato anche i momenti più felici di quegli anni, come le sere passate con le compagne, i balli della domenica e il ricordo dei vestiti, come il cappotto che una delle signore ha conservato, cuciti con i macchinari che avevano a disposizione. Trovo che il ricordo della canzone dell’emigrato racchiuda il senso di questa esperienza, e penso testimoni il fatto che, nonostante le difficoltà riscontrate, questa esperienza abbia contribuito a formare le personalità delle protagoniste, e per questo non potranno mai dimenticarla; ma grazie al loro contributo essa può giungere anche a persone, come me, estranee a vicende come questa, e contribuire a mantenere vivo un ricordo della vita passata.

MEMORIE DI DONNE – Della Bosca Chiara

Chi di noi non ha mai chiesto ai propri nonni o ai propri genitori di raccontargli come era la quotidianità qualche decennio prima? È questo ciò che si è proposta di fare l’associazione “Argonaute” con una collana di cinque filmati che indagano alcuni aspetti della vita del secolo scorso, un secolo ricco di storia e di storie. L’associazione “Argonaute” è nata nel 2004 e riunisce un gruppo di donne della provincia di Sondrio che si prefiggono diversi obiettivi a tutela delle donne. Tra le sfide che si propongono ci sono il sostegno alle donne, la promozione di azioni a sostegno della famiglia e la valorizzazione e la tutela della memoria di donne. È proprio quest’ultimo scopo che abbiamo toccato con mano in questi primi mesi di scuola. Infatti abbiamo avuto la possibilità di vedere i filmati “Era tutto buono allora” e “Veltlinerin, storie di donne migranti in Svizzera”. Ciò che è stato fatto nell’ambito di questo progetto è un lavoro di indagine nel quale le autrici hanno svolto una piccola indagine libera. È vero che, solitamente, l’intervista è rivolta a un gruppo ampio di persone, ma in questo caso il numero delle intervistate è in proporzione al contesto in cui questo strumento è inserito. Infatti ciò che si è voluto raccontare è la storia di una piccola fetta della popolazione valtellinese e ancora più piccola di quella italiana. Il valore di questa indagine non è nostalgico, ma è un valore etnografico, culturale e storico. Infatti lo scopo che si sono poste le autrici è conservare e custodire la memoria delle donne che spesso vengono tralasciate dai racconti tutti al maschile. Vedendo i filmati si possono ottenere delle informazioni preziose sulla vita del secolo passato nella nostra terra, un mondo fatto di semplicità e di tradizioni. Ma in concreto cosa emerge da questo progetto? Il filmato “Era tutto buono allora” mette in evidenza quelli che erano i cibi che i nostri nonni e i nostri bisnonni erano abituati a mangiare e il ruolo che il cibo aveva. Infatti, ieri, come spesso oggi, il momento dei pasti era dedicato alle relazioni affettive e allo stare insieme. Il cibo non è solo una necessità del nostro corpo, ma anche della nostra anima, soprattutto nella nostra società italiana e nella nostra tradizione culinaria. Infatti, spesso coltiviamo le nostre relazioni con amici e parenti sedendoci intorno a un tavolo per un pranzo o per un semplice caffè. Il filmato “Veltlinerin, storie di donne migranti in Svizzera”, invece, porta alla luce le storie di alcune donne, giovanissime all’epoca, che decisero di lasciare le loro case per andare nella vicina Svizzera alla ricerca di un lavoro. Il loro scopo era quello di aiutare le loro famiglie oppure quello di emanciparsi. Le loro esperienze sono state ricche di difficoltà, ma, a volte, anche di piccole conquiste e di momenti spensierati. Le loro giornate erano occupate quasi interamente dal lavoro che comportava mansioni semplici, difficoltà linguistiche, ma anche la stima di tutti per essere delle infaticabili lavoratrici. Questi due filmati non sono solo la narrazione di un’epoca che forse non è così lontana da noi. Infatti trasmettono degli insegnamenti che ognuno di noi si porterà con sé. Il filmato “Veltlinerin, storie di donne migranti in Svizzera” ha lasciato nel mio cuore il coraggio di queste donne che, ancora giovanissime, sono state pronte a fare le valigie e a salutare le loro case e i loro affetti. Questo coraggio è un estremo atto d’amore nei confronti delle loro famiglie, è un coraggio che, forse, non pensavano di avere, ma che hanno dovuto cercare dentro loro stesse. Un’altra riflessione che mi è sorta durante la visione di questo filmato è legata alla voglia di emanciparsi, al desiderio di autonomia e di sentirsi libere. Infatti, queste donne, in alcune occasioni, volevano riscattarsi nella loro condizione di donne, spesso sottovalutate e mai ascoltate. Inoltre volevano dimostrare il loro valore in una società appena uscita dalla guerra nella quale le donne avevano avuto solo un ruolo marginale, almeno apparentemente, o un ruolo spesso non riconosciuto. Il filmato “Era tutto buono allora” non ha portato con sé la conoscenza solo dei piatti tipici, ma soprattutto dello spirito di adattamento che ognuno viveva. Infatti, soprattutto nelle famiglie contadine, come forse lo erano quelle dei nostri nonni e dei nostri bisnonni, ciò che si metteva in tavola era poco e semplice. Ogni membro della famiglia doveva mangiare ciò che c’era, senza poter scegliere e i bambini non potevano fare i capricci affermando che quel piatto non era di loro gradimento. Inoltre ciò che mi ha colpita del tema del cibo è stata la capacità delle donne nel riuscire sempre a mettere nel piatto dei famigliari qualcosa, nonostante le scarse possibilità e le ridotte materie prime. Infatti, queste donne riuscivano sempre a fare del loro meglio con un po’ di fantasia e, soprattutto facendo tesoro degli insegnamenti delle più anziane. I piccoli consigli erano delle vere e proprie lezioni di vita che servivano alle più giovani nella conduzione della vita familiare. Per esempio, veniva tramandato loro l’uso del vino per far passare ai più piccoli l’influenza o lo stratagemma di accompagnare i piatti con le patate che non mancavano mai ed erano fonte di sostentamento. La cosa che, però, ho imparato e che da subito si è fatta strada nella mia mente è il parallelismo con i giorni nostri. Infatti, per quanto riguarda le storie delle donne migranti, mi è subito parsa davanti agli occhi l’immagine della Svizzera e il suo ruolo per la Valtellina. Essa, ancora oggi, è vista come la terra dove poter cercare lavoro con la speranza di un futuro più proficuo e come il luogo dove cercare di uscire dalla bolla protetta che spesso sono le nostre case. Per quanto riguarda i racconti sul cibo, invece, ho subito pensato al valore del cibo che ha tutt’oggi. Infatti, sia nella nostra piccola quotidianità valtellinese che nella realtà italiana, la parola “cibo” equivale a tradizioni, relazioni, socialità, cultura e vita. Spesso dietro a un piatto di pasta o a una bistecca, infatti, c’è la coltivazione di un’amicizia o di un affetto. Inoltre nell’alimentazione si trova un diario che tramanda di generazione in generazione le usanze e le abitudini più antiche. Esse sono i segreti, che forse non sono più tanto nascosti, che le nostre nonne e le nostre bisnonne custodivano gelosamente. Un’ultima riflessione che mi è sorta è relativa al ruolo delle donne. Infatti, non erano solo madri, figlie o mogli, ma si occupavano della cura della casa, cercavano di aiutare economicamente e si preoccupavano di far star bene gli altri componenti della famiglia, a volte privandosi loro stesse. Insomma, gli spunti di riflessione che si possono trarre da questi filmati e, più in generale, dall’intero lavoro fatto dall’associazione “Argonaute” sulle donne di montagna, sono tanti. Il compito più importante, però, è conservare la memoria delle donne, donne che hanno contribuito al progresso della nostra società, donne che forse non sono così lontane da come, a un primo sguardo disattento e superficiale, ci possono apparire e che non dobbiamo dimenticare, insieme ai loro insegnamenti. In fondo, non si può pensare al futuro senza ricordarsi del passato.